[13] Bulonjo-ĉe-Maro
Estimataj
sinjorinoj kaj sinjoroj! Mi salutas vin, karaj samideanoj, fratoj kaj
fratinoj
el la granda tutmonda homa familio, kiuj kunvenis el landoj proksimaj
kaj
malproksimaj, el la plej diversaj regnoj de la mondo, por frate premi
al si
reciproke la manojn pro la nomo de granda ideo, kiu ĉiujn nin ligas.
Stimati signore e signori! Vi saluto, cari samideanoj [> 19],
fratelli e sorelle della grande famiglia umana di tutto
il mondo, che siete convenuti da terre vicine e lontane, dalle più
diverse
nazioni del mondo, per stringervi la mano nel nome della grande idea
che tutti
ci lega.
Così inizia il Discorso
programmatico tenuto dal piccolo oculista polacco al primo Congresso Universale a
Boulogne-sur-mer
(Bulonjo-ĉe-Maro
in esperanto),
tre ore di treno da Parigi sul passo di Calais: erano le otto della
sera del 5
agosto 1905, e nel teatro cittadino, allestito come fosse una prima –
accanto
alla francese una bandiera
tutta verde, con una stella verde a cinque punte in
un riquadro bianco nell’angolo in alto verso l’asta – cominciava a
risuonare la lingvo internacia {lingua
internazionale}.
Il progetto esperantista si radicava senza ambiguità in tale tentativo di nuova koiné socio-culturale, con un'intuizione geniale di Zamenhof: quale più efficace strumento di una lingua universale si poteva pensare per avviare un discorso più ampio, culturale e religioso? L’ambizioso progetto del Doktoro Esperanto poteva contare su profonde correnti dell'intellettualità europea: non a caso se ne interessarono da subito personalità quali Tolstoj a est e Chaplin senior a ovest, e l'intellighenzia francese, quella che in quella sera del sabato 5 agosto 1905 sedeva in parte nel teatro di Boulogne-sur- mer, aveva da subito abbracciato e lanciato quel progetto solo all'apparenza utopico.
Lev Tolstoj appoggiava l’esperanto fin dal 1888, dichiarandosi in favore di una lingua internazionale capace di unire tutti gli esseri umani; egli nel 1894 dichiarava: “Ho trovato il Volapük molto complicato e, al contrario, l'Esperanto molto semplice. Avendo ricevuto, sei anni fa, una grammatica, un dizionario e degli articoli di Esperanto, ho potuto facilmente imparare, dopo due sole ore, se non a scrivere, almeno a leggere fluentemente. [...] I sacrifici che ogni uomo del nostro mondo europeo farà, dedicando tempo al suo studio, sono talmente piccoli, ed i risultati ottenuti così immensi, che non possiamo rifiutare questo tentativo”. Parole significative che possiamo ben commentare con il proverbio di oggi: Kiu bone agas, timi ne bezonas [987], ovverosia “male non fare, paura non avere”.
Si
rimanda, per un approfondimento, almeno a D. Astori, “Esperantujo. Uno
strumento di comunicazione e di comprensione interculturale tra
religioni e
popoli diversi”, in Prometeo n.