[50] Finvenkismo / Raŭmismo
In un forte dibattito
interno sulla reale natura e finalità della loro attività, negli ultimi
decenni
gli esperantisti si dividono in finvenkistoj
e raumistoj: i primi continuano ad
abbracciare il sogno di un esperanto seconda lingua dell’intero globo
(la fina venko, ‘vittoria finale’, appunto,
nel desiderio di un riconoscimento ufficiale dell’esperanto da parte
degli
Stati come “seconda lingua per tutti”), i secondi, dopo il manifesto di
Raum
del 1980 che riproduciamo di seguito, quasi nella rassegnazione
all’impossibilità della realizzazione “finvenkista”, vedono nella lingvo internacia non solo un semplice
strumento ausiliario di comunicazione, ma l’elemento culturale e
identificativo
di una nuova comunità transnazionale, quella esperantista appunto,
definita
come una sorta di minoranza linguistica diasporica a cui si aderisce
per libera
scelta, marcando, fra i tentativi primari, quello di un riconoscimento
dell’esperanto
come lingua minoritaria quasi in un’ottica di lingua non più solo
ausiliaria
ma, per tanti versi, etnica. I raumisti legittimano questa posizione
riprendendo alcune parole di Zamenhof:
Se
eĉ ĉiuj akademioj de la mondo akceptus Esperanton,
se eĉ milionoj da personoj ĝin uzadus—nenio garantias, ke en la daŭro
de unu
jaro ĝi subite ne estos forĵetita kaj forgesita por eterne! Se ĝi unu
fojon
"eliros el la modo", ĝi plej rapide pereos por ĉiam. Lingvo
Internacia fortikiĝos por ĉiam nur en tia okazo, se ekzistos ia grupo
da homoj,
kiuj akceptus ĝin kiel sian lingvon familian, heredan.
Se
tutte le accademie del mondo accettassero l’esperanto… nessuno
garantirebbe che
in un anno questo non venga dimenticato per sempre! Una lingua
internazionale
diventerà più forte per sempre soltanto nel caso in cui esista un
gruppo di
uomini che la accettino quale propria lingua familiare, ereditaria
(Lettera ad
Abraham Kofman, 1901: Originala
Verkaro de L.L. Zamenhof, ed. J. Dietterle, Hirt & Sohn, Leipzig
1929: 323; il testo completo in esperanto
di questa lettera si può trovare online,
mentre una traduzione in italiano a cura di D. Astori è fornita in C.
Minnaja, Lazzaro
Ludovico Zamenhof. Antologia,
Federazione Esperantista Italiana, Milano 2009: 136-138).
In altre parole, mentre la
dottrina finvenkista considera l'esperanto come un risposta al bisogno
dell'umanità di comunicare – principio riproposto nel manifesto di Praga –, quella
raumista vede la
lingua internazionale come una soluzione diretta alle singole persone:
l'esperanto
in sé stesso non può incidere nella storia ma ha un ruolo nella vita
dei
singoli individui.
La dottrina “raumista”, pur
dimostrando una maggior pragmaticità rispetto a quella “finvenkista”,
avrebbe
due punti deboli: se da una parte afferma il diritto della comunità di
esistere
parallelamente al movimento, è anche vero che, se si tenta di
organizzare la
comunità attraverso nuove associazioni oppure attraverso patti civili,
si crea
un nuovo soggetto, parallelo al movimento già esistente. In secondo
luogo, il
concetto di “diaspora” può implicare l'idea di isolamento, di
un'identità
fondata su una contrapposizione con il mondo esterno: queste
caratteristiche
sono ancora più accentuate nell’interpretazione che Giorgio Silfer ha
sviluppato del “raumismo”, secondo la quale l’esperanto non è soltanto
un mezzo
di comunicazione, ma anche un mezzo di espressione artistica e di
identità per
un esperanta popolo.
In tal senso il “raumismo”
tronca con il neutralismo tradizionale ed è perciò una posizione
condivisa solo
da una minoranza, tuttavia in lenta e costante crescita.
Il documento che segue prende il nome dalla città finlandese in cui, durante il 36° congresso internazionale giovanile (27 luglio – 1 agosto 1980) si è discusso il tema: “Esperanto en la 80aj jaroj: celoj kaj metodoj” [“L’esperanto negli anni Ottanta: finalità e metodi”]. Non esprime la posizione ufficiale della TEJO; fonte del raŭmismo, massimamente sviluppatosi introrno alla rivista Literatura Foiro, è opera in particolare di Jouko Lindstedt e Giorgio Silfer, con la collaborazione di Amri Wandel, coordinatore del seminario sulle cui conferenze il testo si è basato.
Il testo presentato è tratto da La Ondo de Esperanto, più autentico di quello apparso sulla rivista Esperanto dell’ottobre 1991, pp. 187-189. Secondo la testimonianza di Giorgio Silfer, il titolo del quinto paragrafo è apocrifo.
Manifesto de
Raŭmo
1.
Krizo de identeco
La
subskribintoj konstatis kontraŭdiron en la sinteno de la
esperantistaro, kvazaŭ
konflikton inter idea superegoo kaj egoo: nia superegoo igas nin
prediki al la
aliaj homoj pri kelkaj mitoj - la dua lingvo por ĉiu / la angla lingvo
estas
nia malamiko / UNO devas adopti Esperanton, ktp - kaj laŭdegi la
lingvon eĉ
neobjektive okaze de intervjuo; samtempe, inter ni, ni ĝuas kaj aplikas
Esperanton laŭ tio kio ĝi efektive estas, sendepende de la pracelaj
sloganoj.
Tio ja estas krizo de identeco, kaj ni sentas la neceson motivi nian
esperantistecon per io pli kohera.
2.
Kritiko de praceloj
Ni kredas
ke:
a) la
oficialigo de Esperanto estas nek verŝajna nek esenca dum la 80aj jaroj
- oni
havu alternativajn celojn;
b)
la faligo de
la angla lingvo estas nek tasko nek zorgo de la esperantistoj: finfine
la angla
rolas nur kiel helplingvo,
analoge al la franca siatempe (eĉ malpli grave ol iam la franca mem);
Zamenhof
neniam proponis al la E-movado kiel celon kontraŭstari la francan, ĉar
por
Esperanto li antaŭvidis pli valoran alternativan rolon.
3.
Niaj celoj
Ni celas
disvastigi Esperanton por pli kaj pli, iom post iom realigi ĝiajn
pozitivajn valorojn:
a)
propedeŭtiko
por lingvoinstruado;
b)
kontaktoj
inter ordinaraj homoj;
c)
kontaktoj
sendiskriminaciaj;
ĉ)
novtipa
internacia kulturo.
Lige kun
la
lasta valoro, ni emfazas ke la serĉado de propra identeco igis nin
koncepti
esperantistecon kvazaŭ la aparteno al mem elektita diaspora lingva
minoritato.
La kresko de niaj fortoj kaj la aliĝo de novaj homoj estas nepre
kondiĉitaj de
la konsciiĝo pri tiuj ĉi valoroj.
4.
La kongresoj kiel vojo al kresko
Internaciaj
kongresoj kaj renkontiĝoj estas esencaj por la asimiliĝo de homoj al
nia lingva
komunumo: necesas unuflanke kongresi pli ofte inter ni, kaj rezervi la
kunsidadon de gvidorganoj al apartaj funkciulaj kunvenoj, laŭ la modelo
de la
TEJO-seminario en Strasburgo (junio 1980), kaj aliflanke necesas
fortigi la
uzon de E-o kiel laborlingvo en fakaj konferencoj internaciaj, laŭ la
modelo de
la Freinet-instruistoj.
5.
Ni posedas formon kaj enhavon
Ni kredas ke la unua jarcento de Esperanto
pruvis la taŭgecon de la lingvo por esprimi ĉion;
meze de la 80aj jaroj, komence de la dua jarcento, ni
devos ekmontri al la mondo ke ni kapablas ankaŭ diri ion
- ion kulture originalan kaj internacie valoran.
1.
Crisi di
identità
Coloro che
hanno firmato hanno constatato una
contraddizione nell’atteggiamento degli esperantisti, quasi un
conflitto tra un
ideale super-io e l’io: il nostro super-io ci fa predicare alle altre
presone
su alcuni miti – la seconda lingua per ciascuno; la lingua inglese è il
nostro
nemico; le Nazioni Unite devono adottare l’esperanto; ecc. – e lodare
eccessivamente la lingua persino in modo non obiettivo in occasione di
interviste; allo stesso tempo, tra noi utilizziamo ed applichiamo
l’esperanto
per quello che esso effettivamente è, indipendentemente dagli slogan
del
primissimo periodo. Questa è una crisi di identità, e sentiamo la
necessità di
motivare il nostro esperantismo con qualcosa di più coerente.
2. Critica
degli scopi originari
Noi crediamo
che:
a)
l’ufficializzazione dell’esperanto non è
né probabile, né essenziale durante gli anni ’80 – dobbiamo avere scopi
alternativi;
b)
l’abbattimento della lingua inglese non è
né compito, né cura degli esperantisti; in fin dei conti l’inglese
svolge un
ruolo di lingua ausiliaria, come a
suo tempo ed in analogia del francese (persino meno importante del
francese
stesso di un tempo); Zamenhof mai ha proposto come scopo al movimento
esperantista di contrastare il francese, perché per l’esperanto egli
prevedeva
un ruolo alternativo più importante.
3. I
nostri
scopi
Noi miriamo a
diffondere l’esperanto per
realizzare sempre di più, poco a poco, valori positivi:
a) una
propedeutica per l’insegnamento
linguistico;
b) contatti
tra persone ordinarie;
c) contatti
senza discriminazioni;
d) una
cultura internazionale di nuovo tipo.
In relazione
con l’ultimo valore, noi
enfatizziamo che la ricerca di una propria identità fa concepire
l’esperantismo
come l’appartenenza ad una minoranza linguistica diasporica da noi
stessi
scelta. La crescita delle nostre forze e l’adesione di nuove persone
sono
assolutamente condizionate dalla presa di coscienza di questi valori.
4.
I congressi
come via verso la crescita
I congressi
internazionali e gli incontri
sono essenziali per l’assimilazione delle persone alla nostra comunità
linguistica: è necessario da una parte fare più congressi tra noi, e
riservare
le riunioni degli organi direttivi a convegni specifici di funzionari,
secondo
il modello del seminario della TEJO
a Strasburgo (giugno 1980), e d’altra parte è necessario rafforzare
l’uso dell’esperanto come lingua di lavoro in conferenze internazionali
a
carattere specialistico, secondo il modello degli insegnanti Freinet.
5.
Possediamo
una forma e un contenuto
Noi crediamo
che il primo secolo
dell’esperanto abbia dimostrato l’idoneità della lingua per esprimere tutto; a metà degli anni ’80, all’inizio
del secondo secolo, dovremo mostrare al mondo che noi siamo anche in
grado di
dire qualcosa – qualcosa di
culturalmente originale e internazionalmente valido.
(da: C.
Minnaja, Lazzaro Ludovico Zamenhof. Antologia, Federazione
Esperantista Italiana, Milano 2009:
295-297).
L’esperienza raumista ha condotto, fra le conseguenze più recenti, alla creazione della Esperanta Civito, esperimento di carattere politico nato intorno ad alcune delle figure chiave del Movimento di Raum. Così recita http://it.wikipedia.org/wiki/Civitas_esperantica:
Lo scopo
principale della Esperanta Civito è
rafforzare i rapporti fra gli esperantisti che sentono di
appartenere
a un gruppo linguistico diasporico senza stato, secondo la
definizione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti
Linguistici, 1996, art. 1, 5.
Non essendo uno
stato, la Esperanta Civito non ha per
obiettivo la potenza politica o economica, ma si
prefigge lo
sviluppo culturale ed educativo dei suoi cittadini, con piena
tolleranza verso
le scuole di pensiero cui i singoli fanno riferimento.
Strutturata
come un soggetto di diritto
internazionale senza territorio (analogamente all'Ordine dei
Cavalieri di
Malta), la Esperanta Civito si caratterizza per il suo ius
sermonis, in contrasto con lo ius soli e
lo ius sanguinis degli stati-nazione.
La Civitas
Esperantica, che è la realizzazione di
quell’idea, si basa su tre pilastri. Il primo è una coscienza di
identità: chi
parla la stessa lingua ha scelto lo stesso destino, non per lo ius
sanguinis,
né per lo ius loci, né per lo ius fidei, ma per un diritto nuovo: lo
ius sermonis, che vede la lingua come
strumento identitario di una comunità. Il secondo pilastro è che la
lingua
scelta per comunicare è l’esperanto, così come fissato nel 1905 e
liberamente
evolutosi durante un secolo. Il terzo è il sistema federale: le varie
comunità
aderenti scelgono liberamente i propri rappresentanti nelle strutture
della
Civitas, nata non in opposizione alle tradizionali associazioni
esperantiste,
tendenti principalmente alla diffusione della lingua, scopo al quale la
cultura
esperanto è funzionale; la Civitas Esperantica evidenzia un’altra
faccia della
cultura legata all’esperanto (e non necessariamente esperantista):
quella
dell’identità di un gruppo il cui collante è la fiducia nei valori di
uguaglianza portati dalla lingua internazionale.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda a http://it.wikipedia.org/wiki/Raumismo
e al sito della Civitas Esperantica (in
particolare, sul Raumismo, http://www.esperantio.net/index.php?id=8,
con documenti).
“Dare il colpo di grazia” è: doni la finofaran baton [373].