[94] esperantiĝi / esperantigi

 

Dalla sua nascita nel 1887, l’esperanto conta più di 10.000 opere tradotte, che costituiscono la più vasta antologia della cultura universale mai realizzata. Quasi tutti i principali autori di letteratura vi sono rappresentati: ogni esperantista dispone di una scelta e di una collezione molto rappresentative di tutta la letteratura mondiale. Questo importante fatto culturale rende effettivo il passo verso una cultura universale, a maggior ragione se si medita sul fatto che l’esperanto è nato appunto con la finalità dichiarata di essere seconda lingua per tutti, base di partenza di una cultura neutrale-umana universale di carattere unificante e fraternizzante.

Per avvicinare alle diverse letterature, il mondo esperantista ha realizzato molte antologie nelle quali si trova una grande quantità di informazioni sulle stesse letterature come su testi rappresentativi: esse sono efficaci ambasciatrici di quelle tra gli strati popolari esperantisti degli altri Paesi, e molte di esse – è da sottolineare – rappresentano culture di minoranze nazionali, rendendo l’esperanto strumento ulteriore di tutela e diffusione delle cosiddette – a torto – lingue e culture ‘minori’. L'esperanto assume in tal modo il ruolo di lingua ponte tra diverse culture, contribuendo alla comunicazione e alla comprensione internazionale: lingua come tutte le altre, si fa tramite anche per letterature assai poco tradotte nelle lingue di grande comunicazione, assolvendo uno dei suoi compiti primari, quello di far conoscere, in un campo più vasto e su un piede di parità, valori letterari di popoli relegati ai margini della cultura europea perché la loro lingua è poco diffusa; può essere indicativa una statistica, ancorché piuttosto vecchia, presa dall'Index Translationum dell'Unesco: delle traduzioni apparse nel decennio 1957-1966, il 70% proveniva da quattro lingue soltanto (inglese, russo, francese, tedesco), mentre nello stesso periodo sono apparse in esperanto 344 traduzioni, le cui quattro fonti maggiori furono il cinese, il vietnamita, l'olandese e il giapponese, che coprivano peraltro meno del 50% delle traduzioni effettuate.

Nel 2004, ultima statistica nota dall'Index Translationum, le prime cinque lingue (inglese, francese, tedesco, russo, italiano) coprono una percentuale attorno al 90%; il solo inglese copre il 55% delle prime 50 lingue e la seconda lingua, il francese, ha meno di un sesto delle traduzioni rispetto all'inglese.


Come spiega il sito Lernu.net (http://it.lernu.net/lernado/gramatiko/demandoj/igx-ig.php), “il suffisso –ig- è un suffisso tipico per i verbi. Esso significa ‘causare, cambiare, fare o realizzare qualcosa’. La radice che sta davanti al suffisso mostra il risultato finale dell'azione. L’oggetto nella frase con un verbo -ig mostra ciò a cui l'azione del verbo è diretta. Il soggetto mostra l'artefice del cambiamento. Il verbo con il suffisso –ig- è sempre transitivo, cioè esso è sempre usato con un oggetto diretto senza preposizioni. Questo oggetto risponde alla domanda ‘che cosa?’ e figura nella forma di accusativo. […]

Il suffisso –iĝ- significa [invece] ‘passare al nuovo stato, cambiare, divenire’. Questo suffisso è usato principalmente in forme verbali. La parte della parola che sta davanti al suffisso –iĝ- mostra il risultato del passaggio o cambiamento. Il soggetto mostra ciò che cambia.

Il verbo con il suffisso –iĝ- è sempre intransitivo, cioè dopo di esso non può MAI esserci un complemento oggetto diretto senza una preposizione che risponde alla domanda ‘che cosa?’”.


A questo punto, esperantigi significherà “rendere esperantista, esperantizzare”, esperantiĝi “diventare esperantista”. Ecco due altri esempi, un filo più complessi:


vesperiĝas (vesper-iĝ-as)

In italiano diremmo “si fa sera”. La radice della parola è il sostantivo vespero (finisce in –o) “sera”. A questa radice è stato aggiunto il suffisso –iĝ– che indica un cambiamento di stato e si può riferire sia a un’azione subita passivamente dal soggetto (la spegulo rompiĝis – lo specchio si ruppe) che a un’azione riflessiva (mi sidiĝas – io mi siedo).


troigi  (tro-ig-i)

La parola è composta dall’avverbio tro “troppo”, dal suffisso –ig– (“far diventare”) e dalla finale -i, che indica un verbo all’infinito. Quindi: “far diventare troppo”, cioè “esagerare”.



Nell'immagine, la traduzione esperanto di Alice nel Paese delle Meraviglie di L. Carroll, realizzata nel 1910 da Elfric Leofwine Kearney (http://evertype.com/blog/blog/2009/02/20/la-aventuroj-de-alicio-en-mirlando).


Sul tema dei suffissi appena analizzati: Almozoj ne malriĉigas [53] “L’elemosina non impoverisce (nel senso di: non fa impoverire)”.

 

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Città di Mazara del Vallo

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