[120] La raporto Grin
Su richiesta dello Haut Conseil de l’Évaluation de l’École di analizzare la situazione e i costi delle politiche linguistiche contemporanee, François Grin, attualmente Professore di Economics alla School of Translation and Interpretation (ETI) dell’Università di Ginevra e visiting professor all’Università di Lugano, dove insegna Management of linguistic and cultural diversity, fra i più profondi specialisti di economia e politiche linguistiche, ha prodotto, nel 2005, il documento L’enseignement des langues étrangères comme politique publique (reperibile on line: http://cisad.adc.education.fr/hcee/documents/rapport Grin.pdf), dove illustra tre scenari possibili, come descritti nella tabella seguente:
Rimandando direttamente al testo per ogni approfondimento, ne riassumiamo le conclusioni:
- Le prevenzioni contro l’Esperanto rendono lo scenario 3 (paradossalmente il più auspicabile) almeno a oggi impraticabile.
- A medio/lungo termine sarebbe dunque da preferire lo scenario 2 (plurilinguismo): anche se non è il migliore, la riduzione degli ingiusti benefici per i Paesi anglofoni è comunque considerevole.
- Lo scenario 2 presenta rischi di instabilità ed erosione a favore dell’inglese, ciò che costituisce ulteriore argomentazione in favore dello scenario 3.
Ecco il testo completo delle Conclusions générales:
Da parte sua la Commissione Europea nel 2007 ha incaricato un gruppo di personalità della cultura di prestare la sua consulenza sul contributo che il multilinguismo può dare al dialogo interculturale e alla comprensione reciproca dei cittadini nell'Unione Europea. Questo gruppo, composto da dieci intellettuali, era coordinato dallo scrittore Aamin Maalouf; l’Italia vi era rappresentata dalla scrittrice Simonetta Agnello Hornby. Il rapporto, pubblicato nel 2008, porta il titolo Una sfida salutare – Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l’Europa (http://ec.europa.eu/languages/documents/report_it.pdf). La soluzione proposta, che gli estensori giudicano “al tempo stesso ambiziosa e realistica” viene così presentata:
Questo implica che per ciascuna lingua europea esista, in ogni paese dell'Unione, un gruppo significativo di locutori competenti e fortemente motivati.
Il numero di tali locutori sarebbe naturalmente molto variabile secondo le lingue, ma dovrebbe essere ovunque sufficientemente consistente per consentire loro di occuparsi di tutti gli aspetti — economici, politici, culturali, ecc. — delle relazioni "binarie" tra i paesi interessati.
B - Perché questi contingenti di locutori possano essere formati, l'Unione europea dovrebbe farsi promotrice dell'idea di lingua personale adottiva.
L'idea è quella di incoraggiare ogni cittadino europeo a scegliere liberamente una lingua distintiva, diversa dalla sua lingua identitaria e anche dalla sua lingua di comunicazione internazionale.
Così come la concepiamo, la lingua personale adottiva non sarebbe per nulla una seconda lingua straniera, bensì, in qualche modo, una seconda lingua materna.
Studiata intensamente, parlata e scritta correntemente, questa lingua sarebbe integrata nel percorso scolastico e universitario e nel curriculum professionale di ogni cittadino europeo.
Il suo apprendimento si accompagnerebbe ad una conoscenza approfondita del paese o dei paesi in cui questa lingua è praticata, della letteratura, della cultura, della società e della storia legate a
questa lingua e ai suoi locutori.
Grazie a questo approccio vorremmo superare la rivalità che oggi oppone l'inglese e le altre lingue, rivalità che si traduce in un indebolimento di queste ultime e arreca pregiudizio alla stessa lingua inglese e ai suoi locutori.
Distinguendo chiaramente, al momento della scelta, tra una lingua di comunicazione internazionale e una lingua personale adottiva, gli europei sarebbero indotti a prendere, per quanto riguarda l'apprendimento delle lingue, due decisioni distinte, l'una dettata dai bisogni della comunicazione più ampia, l'altra orientata da un complesso di motivazioni personali legate al percorso individuale o familiare, ai legami affettivi, all'interesse professionale, alle preferenze culturali, alla curiosità intellettuale, ecc.
Per ciascuna di queste decisioni, la scelta sarebbe la più aperta possibile.
Come lingua di comunicazione internazionale sappiamo bene che oggi i più sceglierebbero l'inglese. Ma qualcuno potrebbero scegliere il francese, lo spagnolo, il portoghese, il mandarino o altre lingue ancora.
Per la lingua personale adottiva, la scelta sarebbe virtualmente illimitata. È probabile che gran parte degli europei opterebbe per una delle grandi lingue emblematiche che hanno avuto un ruolo di primo piano nella storia del continente, lingue che potrebbero così arginare il loro declino ed entrare in una fase della loro storia di rinnovata vitalità.
Nel contempo, le lingue meno parlate, anche quelle fortemente minoritarie, godrebbero di un'influenza senza precedenti. Nella logica di una politica della lingua personale adottiva, infatti, la scelta di una lingua sarebbe decisa come è decisa la scelta di una professione. La conoscenza di una lingua relativamente rara darebbe un vantaggio supplementare, comparabile a quello di una specializzazione rara in un settore di punta. Col tempo, le persone si distribuirebbero tra tutte le lingue, in maniera certo molto disuguale, ma sempre significativa.
E soprattutto, in maniera duratura. Una delle conseguenze principali dell'approccio che proponiamo è che ogni lingua europea avrebbe un posto privilegiato negli scambi bilaterali con tutti i partner europei, nessuna sarebbe condannata a scomparire, nessuna sarebbe ridotta allo status di dialetto locale. In questo modo, i locutori originari di questa lingua, anche se poco numerosi, non avrebbero più motivo di sentirsi deprezzati, esclusi, messi ai margini.
Trascurare una lingua significa correre il rischio che i suoi locutori voltino le spalle all'idea europea. Non può aderire pienamente alla costruzione europea chi non ha la sensazione che la propria cultura, e in primo luogo la propria lingua, sia pienamente rispettata e che l'integrazione del suo paese nell'Unione europea contribuisce a dare maggiore prestigio alla propria lingua e alla propria cultura e non a renderle marginali. Tante crisi di cui siamo stati testimoni, in Europa e altrove, traggono origine dal fatto che una comunità ha sentito, in un certo momento della sua storia, offesa la dignità della propria lingua; bisognerebbe rimanere vigili per evitare che sentimenti del genere si sviluppino negli anni e nei decenni futuri, mettendo in pericolo la coesione europea.
Ogni lingua è il prodotto di un'esperienza storica unica, è portatrice di una memoria, di un patrimonio letterario, di un'abilità specifica, e costituisce il fondamento legittimo di un'identità culturale. Le lingue non sono intercambiabili, di nessuna si può fare a meno, nessuna è superflua. L'esigenza di preservare tutte le lingue del nostro patrimonio, comprese le lingue europee ancestrali come il latino o il greco antico, e di favorire, anche per le nostre lingue più minoritarie, una certa espansione nel resto del continente, è indissociabile dall'idea stessa di un'Europa di pace, di cultura, di universalità e di prosperità.
Come si vede, molte delle argomentazioni degli esperantisti sono
riprese in questo documento. Va detto che la Commissione Europea non ha
preso nessuna decisione che vada incontro alla proposta “ambiziosa e
realistica” degli intellettuali consultati.
L'immagine è da http://article.wn.com/view/2012/02/06/Manila_Ditches_Bilingual_Policy_for_Younger_Pupils.