[108] Vortoj de lasta konfeso
Ritrovato sulla scrivania del Maestro come ultimo manoscritto su quaderno (non finito, possibile abbozzo di un articolo sull’immortalità dell’anima), il testo che segue è citato da Privat nella Originala Verkaro, opera omnia di Zamenhof raccolta e curata da J. Dietterle (Hirt & Sohn, Leipzig 1929), p. 358.
Rimando imprescindibile è alla più antica tradizione illuminista della religione naturale che da Locke si è sviluppata sino alla piena contemporaneità: tale frammento, più spesso ricordato come “Parole di un’ultima confessione” (Vortoj de lasta konfeso), testimonia e disvela nel modo più poetico forse l’intimo approccio del Nostro al piano trascendente, quel sentimento di religiosità laico-naturale (neŭtrale-homa, avrebbe dichiarato altrove) che riemerge, sviluppato e articolato in una riflessione teorica, nel dogma X [> 57; 97], cuore della riflessione religiosa di Zamenhof.
Mi eksentis, ke eble morto ne estas malapero...; ke ekzistas iaj leĝoj en la naturo...; ke io min gardas al alta celo....
Tutto ciò che scrivo ora non è nato nella mia mente adesso, ma quarant’anni fa, quando avevo fra i 16 e i 18 anni; nonostante da allora abbia molto meditato e letto diverse opere scientifiche e religiose, i miei pensieri di allora su Dio e l’immortalità non sono mutati quasi per nulla.
Mentre perderò ogni stima nel mondo della scienza, allo stesso tempo non troverò alcuna simpatia compensatrice in quello dei credenti, forse solo un attacco, perché il mio credo apparirà del tutto diverso dal loro … Sarebbe più prudente rimanere in silenzio, ma non posso.
Mia madre era una credente, mio padre ateo. Nella mia infanzia credevo in Dio e nell’immortalità dell’anima nella forma insegnata dalla mia religione di nascita. Non ho un ricordo preciso dell’anno della mia vita in cui ho perduto il mio credo religioso; ma ricordo che ho raggiunto il più alto grado di assenza di fede intorno all’età di 15-16 anni. Quello che fu anche il periodo più sofferto della mia vita. L’intera esistenza perse ai miei occhi ogni senso e valore. Guardavo a me e agli altri con disistima, vedendo in me e in loro solo un pezzo di carne senza senso, creato non si sa per che ragione e a qual fine, che trapassa nell’eternità meno del più limitato istante, per putrefarsi velocemente per sempre e non riapparire mai più per tutti gli infiniti e futuri milioni e miliardi di anni. Per cosa vivo, per cosa imparo, per cosa lavoro, per cosa amo? Ché è invero così senza senso, senza valore, così ridicolo …
L'immagine è da http://esperantomondo.blogspot.it/2008/12/espranto-kaj-homaranismo.html.
Anche i proverbi
riflettono sul destino ultimo: La morto ne
distingas, ĉiujn agale ĝi atingas [1264] “La morte non
distingue, raggiunge tutti ugualmente”.