[55] Danĝera
Fra le vittime del
Nazionalsocialismo, all’interno delle “categorie” perseguitate vi fu
anche
quella degli esperantisti, per il solo fatto di proporre una lingua
pianificata
come strumento di comunicazione fra uomini di nazioni diverse: dal
regime
nazista l’esperanto fu definito, riprendendo le parole dirette di
Hitler nel Mein
Kampf, come uno dei mezzi attraverso il quale il potere
pluto-giudeo-massonico mirava al pieno dominio del mondo, anche
sobillando e
appoggiando le nuove istanze comuniste del tempo: “Finché l’ebreo non
sia
diventato padrone degli altri popoli, volente o nolente deve parlare la
loro
lingua, ma non appena essi dovessero divenire suoi servi, dovrebbero
tutti
imparare una lingua universale (per esempio l’esperanto!) in modo che
anche con
questo mezzo l’ebreo possa dominarli più facilmente”.
L’accanimento contro
la “pericolosa” (danĝera) lingua esperanto, quasi una cartina
al tornasole del più vasto dramma che andava attuandosi, è scientemente
pianificato, e ricostruibile passo passo: dall’affermazione del Führer,
nel
settembre 1922, in un discorso monacense (“Il marxismo è divenuto
strumento di
pressione sugli operai, la massoneria è passata al servizio degli
strati
“intellettuali” come elemento di dissoluzione, l’esperanto era
destinato ad
agevolare la comprensione internazionale”), al decreto, in data 17
maggio
La propaganda fu così forte che, nel maggio 1934, in un sondaggio tra gli studenti che si erano rifiutati di scegliere l’esperanto come materia di studio, promosso da parte di un insegnante di esperanto nel ginnasio di Bydgozscz (in quella Polonia patria del creatore della lingua), fra i motivi, di chiaro sentimento antisemita, si registravano, fra le altre, queste risposte: perché è un gergo ebreo, che dobbiamo disprezzare; l’esperanto serve a una propaganda antireligiosa. Gli esperantisti sono più spesso ebrei o atei. L’esperanto deve essere raso al suolo; io sono un grande antisemita e per questo disprezzo l’esperanto; perché è, secondo me, una trovata sionista per una più agevole diffusione del comunismo, della massoneria e di altre disgrazie. Il caso più eclatante fu l’incarceramento, verso la fine del giugno del 1944, di Gustav Weber, capo della delegazione della Lega Esperantista Internazionale, arrestato dagli agenti della Gestapo, insieme agli altri presenti in casa sua, e inviato al campo di concentramento di Mauthausen, con la sola motivazione di essere esperantista.
Anche nel nostro Paese vi furono attacchi agli esperantisti: mentre da un lato “Il Popolo d’Italia” scopriva che l’esistenza a Milano di una Via Zamenhof “insulta Roma, che, per le relazioni con gli altri popoli, possiede ben altri ponti”, e dall’altro, nell’ottobre 1941, “Roma Fascista” definiva la creazione dell’ebreo polacco Zamenhof come “strumento del sionismo e dell’affossamento internazionale”, abbracciando, in ritardo ma inequivocabilmente, la teoria nazista della cospirazione, erano già state abolite le trasmissioni in esperanto di Radio Roma e vietati i permessi per i Congressi già dal 1936, e nella pratica non era più possibile utilizzare la lingua in ambiti pubblici.
A essere onesti, il trattamento riservato all’esperanto da parte del nazi-fascismo trovò un degno, e consonante, alleato nel socialismo reale, in quell’URSS in cui, durante il solo periodo della Grande Purga, si suppone siano morte, in quanto ebrei e “spioni” dei poteri occidentali e anti-rivoluzionari e dunque inseriti nelle categorie dichiarate “antisovietiche”, intorno alle 20.000 persone, per la sola colpa di sperare in un mondo più onesto e rispettoso della dignità umana. Tutto questo, tristemente, a testimoniare che i valori del movimento esperantista, quelli dell’incontro, del contatto, dello scambio, del dialogo a livello internazionale, non possono piacere a nessun potere illiberale e violento, dietro qualunque colore, o patina, nasconda la sua perversità ideologica.
La storia ha segnato
il tempo di
quei, nemmeno troppo lontani, assassinii, di idee prima ancora che di
uomini.
Il sogno esperantista
della comprensione e dell’affratellamento dell’umanità (vedi [40] [68] [97]),
fondato su princìpi di pace e fratellanza
tra i
popoli, attraverso anche
la fondamentale difesa dei valori del multilinguismo e del multiculturalismo,
continua a vivere.