[63] EEU
Il
26 settembre la Comunità Europea celebra la “giornata europea delle
lingue”
(EDL). Come si legge nella dichiarazione
emessa in
occasione del 10° anniversario di questa celebrazione, “Le lingue e il
loro
apprendimento vengono celebrati dal 2001 il 26 settembre di ogni anno,
la
Giornata europea delle lingue. Le attività riguardano tutte le lingue,
compresa
la promozione delle lingue meno diffuse e insegnate, delle lingue delle
comunità migranti e dei linguaggi dei segni. La Giornata europea delle
lingue
ha lo scopo di incoraggiare l'apprendimento delle lingue lungo tutto
l'arco
della vita ai fini della realizzazione personale, di una piena
partecipazione
alle società democratiche dell'Europa e dello sviluppo professionale.
È
occasione particolarmente interessante per lanciare un breve sguardo
alla
situazione linguistica nella quale oggi viviamo e per riflettere su
quale possa
essere, in essa, la posizione dell’esperanto. In quest’Europa
contemporanea –
il cui motto, non dimentichiamo, suona “uniti nella diversità” – che,
negli
ultimi anni, ha sottolineato l’importanza del plurilinguismo come
ricchezza
imprescindibile del continente, al punto da tutelarla anche dal punto
di vista
normativo (l’art. 22 della carta dei diritti fondamentali, adottata nel
2000,
richiede all’Unione di rispettare la diversità linguistica,
e l’art. 21.1 proibisce la
discriminazione basata sulla lingua, e ancora il Trattato di Lisbona,
sottoscritto
dagli stati membri nel dicembre 2007, richiama al rispetto per la
diversità
culturale e linguistica dell’Europa, garantendone la salvaguardia e
l’accrescimento dell’eredità culturale) e che vive l’oggettivo problema
della
necessità di una lingua veicolare (il problema della diversità
linguistica in
Europa era già stato definito da Pierre Lequiller, l’11 giugno 2003,
come “un
soggetto che può essere definito esplosivo per l’Europa”, concetto
ribadito,
dalle pagine della “Süddeutsche Zeitung” del 1° aprile 2005,
dall’affermazione
di Wilhelm Schönfelder che “nell’UE non c’è tema più sentito delle
lingue”) fa
ulteriormente riflettere il fatto che il Politecnico di Milano stia
valutando
di adottare, dal 2014, l’inglese come unica lingua di insegnamento dai
corsi
specialistici in su: non più il cosidetto “doppio binario”, ma
esclusivamente
la “lingua tecnica base”, senza più il minimo spazio per l’idioma del
nostro
Paese.
Democrazia
ed ecologia linguistica, o il riconoscimento della lingua materna come
diritto
umano fondamentale, sembrerebbero temi che non interessano
particolarmente i
cittadini europei, e gli italiani più nello specifico, che nemmeno si
sono
accorti dell’esclusione, fra le ultime, della loro lingua materna dalla
legittimità d’uso nei brevetti. E che il problema linguistico non è
solo
ideale, ma anche economico e di profonda ricaduta politica, lo ha ben
mostrato,
non ultimo, il rapporto commissionato nel 2005 dal governo francese al
Prof.
François Grin che, fra lo
sconcerto
di qualcuno, ha prospettato, come possibile scenario risolutivo sul
piano
europeo, l’adozione di una lingua pianificata – magari proprio
l’esperanto – con motivazioni
interessantissime che l’“affaire Politecnico” comincia a focalizzare
come
finalmente degne di essere dibattute. Riflettere se, e come, garantire
la
dignità delle diverse lingue, anche in àmbito scientifico, nel momento
di
sincretismo culturale che stiamo vivendo, è tema fondamentale in
un’ottica più
generale come pure relativamente alla libertà accademica (anche dal
punto di
vista di scelte linguistiche), e stimola l’università italiana a
discutere ed
elaborare politiche istituzionali che promuovano
l’internazionalizzazione anche
come multilinguismo.
Tanto è fondante il
problema
linguistico per il Vecchio Continente, che esso appare chiaro
addirittura a chi
iniziò a sognare un’Europa unita ancora prima dei Padri fondatori del
Novecento:
Non stupisce allora
come si inserisca pienamente, e in totale consonanza, nel filone di
riflessione
qui accennato, la visione socio-politica e filosofica di Zamenhof, anch’egli quasi “profeta
d’Europa”, che vede, nei suoi intenti, profondi contatti con le
riflessioni di
Cattaneo sugli “Stati Uniti d’Europa”, che sono poi in linea con la
proposta
garibaldina (in una lettera a Bismarck del 1872) di esigenza di
costituire a
Ginevra la sede per un grande arbitrato mondiale fra tutte le nazioni nazioni; e
parallelamente, con la visione
mazziniana della Giovane Europa, e con quella sua proposta di Religione
civile
che è, dalle parole stesse del pensatore, “la più splendida
dimostrazione
possibile della Legge di Progresso ch’è la vita dell’Umanità e porrebbe
la
prima pietra della inevitabile invocata Religione futura”.
Rivoluzionari, e
tutti da
rileggere a 150 anni dalla nascita di Zamenhof, sconvolgenti per la
modernità e
l’attualità dei temi e delle proposte, sarebbero almeno i due testi: Gentoj kaj lingvo internacia [“I popoli
e la lingua internazionale”], nato come mémoire
per il “Congresso delle Razze” del 26-29 luglio 1911 a Londra, che
rimarca come
la causa della rivalità e dei conflitti fra gli uomini che da sempre
insanguinano
il mondo risieda, prima che nella pluralità delle lingue, in quella
degli
Stati, e cioè nell’assenza di un ordine internazionale degno di questo
nome; e
ancora l’Alvoko al la diplomatoj [“Appello
ai diplomatici”], pubblicato nel 1915 nel pieno del dramma della Grande
Guerra,
che – fra l’altro – auspica, per non ricadere in una guerra ancor più
devastante, da un lato la fondazione degli Stati Uniti di Europa,
dall’altro la
creazione di un Tribunale Internazionale. Intuizioni che, se ponderate,
avrebbero cambiato drasticamente la storia del Secolo breve, e non solo
da un
punto di vista linguistico.
Oggi
la massima organizzazione esperantista europea è l’Eŭropa
Esperanto-Unio (EEU, “Unione Esperantista Europea”), che
raggruppa le associazioni esperantiste dei Paesi membri dell’UE e di
alcuni
Paesi candidati a farne parte. La Commissione Europea ha riconosciuto
l’importanza dell’EEU e ha fondato, nel 2009, una Piattaforma per la
promozione
del plurilinguismo, costituita da 29 organizzazioni transeuropee, fra
le quali
la stessa EEU, i cui rappresentanti collaborano attivamente alle sue
attività,
consistenti nel fornire proposte e consigli alla C.E. per realizzare
l’obiettivo dell’uguaglianza fra le lingue dell’Unione. Ulteriori
notizie e
informazioni si possono trovare sul sito http://www.europo.eu, e nelle pagine dedicate all’Unione
Europea nel
saggio di Humphrey Tonkin, Una
lingua e un popolo. Problemi attuali del movimento esperantista,
Edizioni
Eva, Venafro (IS) 2009.
Sempre in tema di Europa, ricordiamo l’inno esperantista europeo (Himno por la Eŭropa Unio) scritto dall’italiano Umberto Broccatelli, che riportiamo di séguito come si può leggere, insieme a versioni precedenti, su http://lingvo.org/euhimno:
Kantu kune
amikaro, ni la ĝojon
festas nur, nek rivero nek montaro plu landlimoj estas nun. Ho Eŭropo, hejmo nia, tro daŭradis la divid'; nun brilegu belo via, ĉiu estas via id'. Via flago kunfratigas homojn post milita temp', via leĝo nun kunigas civitanojn en konsent'. De l' Malnova Kontinento, ĵus ekstaris la popol', gvidas ĝin tre nova sento kaj kuniga forta vol'. Sub la ŝildo de la juro, ni vivados en konkord', tio estas nia ĵuro: unu land' kaj unu sort'. Jen ekzemplo por la mondo, jen direkto, jen la voj': tuthomara granda rondo, en la paco, en la ĝoj'. |
Cantate insieme, amici,
festeggiamo la gioia
solamente, fiumi e montagne non sono più frontiere. Oh, Europa, nostra casa, troppo durò la divisione. Splenda ora la tua bellezza, ognuno ti sia figlio. La tua bandiera affratella gli uomini dopo il tempo della guerra, la tua legge ora unisce cittadini in consenso. Del Vecchio Continente il popolo ora si è alzato; lo guida un nuovissimo sentimento e una forte volontà di unione. Sotto l'egida del diritto noi vivremo in concordia. Questo è il nostro giuramento: un Paese e una sorte. Ecco un esempio per il mondo: ecco una direzione, ecco una via: un grande cerchio di tutta l'umanità, nella pace, nella gioia! |
Siccome
con oggi siamo giunti a metà del nostro percorso alla scoperta
dell’esperanto,
ricordiamo come auspicio che Konkordo malgrandaĵon kreskigas,
malkonkordo grandaĵon riunigas [1155];
il che trova un parallelo in quanto Sallustio aveva scritto a proposito
degli
Stati: Concordia parvae res crescunt,
discordia maximae dilabuntur.