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Il 26 settembre la Comunità Europea celebra la “giornata europea delle lingue” (EDL). Come si legge nella dichiarazione emessa in occasione del 10° anniversario di questa celebrazione, “Le lingue e il loro apprendimento vengono celebrati dal 2001 il 26 settembre di ogni anno, la Giornata europea delle lingue. Le attività riguardano tutte le lingue, compresa la promozione delle lingue meno diffuse e insegnate, delle lingue delle comunità migranti e dei linguaggi dei segni. La Giornata europea delle lingue ha lo scopo di incoraggiare l'apprendimento delle lingue lungo tutto l'arco della vita ai fini della realizzazione personale, di una piena partecipazione alle società democratiche dell'Europa e dello sviluppo professionale.

È occasione particolarmente interessante per lanciare un breve sguardo alla situazione linguistica nella quale oggi viviamo e per riflettere su quale possa essere, in essa, la posizione dell’esperanto. In quest’Europa contemporanea – il cui motto, non dimentichiamo, suona “uniti nella diversità” – che, negli ultimi anni, ha sottolineato l’importanza del plurilinguismo come ricchezza imprescindibile del continente, al punto da tutelarla anche dal punto di vista normativo (l’art. 22 della carta dei diritti fondamentali, adottata nel 2000, richiede all’Unione di rispettare la diversità linguistica, e l’art. 21.1 proibisce la discriminazione basata sulla lingua, e ancora il Trattato di Lisbona, sottoscritto dagli stati membri nel dicembre 2007, richiama al rispetto per la diversità culturale e linguistica dell’Europa, garantendone la salvaguardia e l’accrescimento dell’eredità culturale) e che vive l’oggettivo problema della necessità di una lingua veicolare (il problema della diversità linguistica in Europa era già stato definito da Pierre Lequiller, l’11 giugno 2003, come “un soggetto che può essere definito esplosivo per l’Europa”, concetto ribadito, dalle pagine della “Süddeutsche Zeitung” del 1° aprile 2005, dall’affermazione di Wilhelm Schönfelder che “nell’UE non c’è tema più sentito delle lingue”) fa ulteriormente riflettere il fatto che il Politecnico di Milano stia valutando di adottare, dal 2014, l’inglese come unica lingua di insegnamento dai corsi specialistici in su: non più il cosidetto “doppio binario”, ma esclusivamente la “lingua tecnica base”, senza più il minimo spazio per l’idioma del nostro Paese.

Democrazia ed ecologia linguistica, o il riconoscimento della lingua materna come diritto umano fondamentale, sembrerebbero temi che non interessano particolarmente i cittadini europei, e gli italiani più nello specifico, che nemmeno si sono accorti dell’esclusione, fra le ultime, della loro lingua materna dalla legittimità d’uso nei brevetti. E che il problema linguistico non è solo ideale, ma anche economico e di profonda ricaduta politica, lo ha ben mostrato, non ultimo, il rapporto commissionato nel 2005 dal governo francese al Prof. François Grin che, fra lo sconcerto di qualcuno, ha prospettato, come possibile scenario risolutivo sul piano europeo, l’adozione di una lingua pianificata – magari proprio l’esperanto – con motivazioni interessantissime che l’“affaire Politecnico” comincia a focalizzare come finalmente degne di essere dibattute. Riflettere se, e come, garantire la dignità delle diverse lingue, anche in àmbito scientifico, nel momento di sincretismo culturale che stiamo vivendo, è tema fondamentale in un’ottica più generale come pure relativamente alla libertà accademica (anche dal punto di vista di scelte linguistiche), e stimola l’università italiana a discutere ed elaborare politiche istituzionali che promuovano l’internazionalizzazione anche come multilinguismo.

Tanto è fondante il problema linguistico per il Vecchio Continente, che esso appare chiaro addirittura a chi iniziò a sognare un’Europa unita ancora prima dei Padri fondatori del Novecento:

Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente, mentre che in Europa la grande maggioranza, non solo delle intelligenze, ma degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia e di ostilità […] Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? Non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni ed alla miseria dei popoli per essere esercitati in esercizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria […] e nell’erezione delle scuole che torrebbero alla miseria ed all’ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il l ro grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo e dalla cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti all’abbruttimento, alla prostituzione dell’anima e della materia.

L’affermazione è di Garibaldi, nel Memorandum alle potenze europee del 1860; e magna pars del progetto sociale di pace mondiale e strumento di una nuova spiritualità (di quella, insomma, che egli chiamava “Religione Universale” e che in altri momenti, in particolare a partire dal Congresso per la pace del 1867, rinominerà, con assonanze bruniane, la “Religione del vero”) è proprio anche nel sogno di una lingua universale, individuata pure, ulteriore citazione imprescindibile, negli appunti di un progetto di intervento sulla Unità mondiale (forse del 1862):

E quando un individuo a cui si sia fatta questa interrogazione: a che religione appartenete voi? abbia risposto: io appartengo alla religione di Dio! Credo con ciò egli abbia aderito alla religione Universale buona per tutti e da tutti adottata […] Il modo dunque più indicato ad un’Unità Mondiale e che più coadiuverebbe all’unità religiosa vera, Dio!, sarebbe una lingua Universale. Non à questa idea mia ma vecchia e ne lascio l’esame cronologico a chi vuor incaricarsene.

Il sogno di una lingua universale percorre la vita e lo sviluppo etico dell’umanità come un fiume carsico, che di tempo in tempo riaggalla fra le pieghe della Storia (ben lo illustra il celebre U. Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Bari 1993): e per tornare al nostro Risorgimento, ricordiamo che Carlo Cattaneo vi dedicò un intervento sul “Politecnico” del 1841, dal titolo Sul principio istorico delle lingue europee. Nasce in questo clima tardo-illuminista e fortemente illuminato la coscienza che quella “Pace perpetua” già agognata da Kant (Zum ewigen Frieden, 1795) potrà avere un senso solo nell’Europa unita, in un processo che non potrà non vedere lingue e Weltanschauungen in dialogo per una nuova, armonica e sinergica realtà in fieri.

Non stupisce allora come si inserisca pienamente, e in totale consonanza, nel filone di riflessione qui accennato, la visione socio-politica e filosofica di Zamenhof, anch’egli quasi “profeta d’Europa”, che vede, nei suoi intenti, profondi contatti con le riflessioni di Cattaneo sugli “Stati Uniti d’Europa”, che sono poi in linea con la proposta garibaldina (in una lettera a Bismarck del 1872) di esigenza di costituire a Ginevra la sede per un grande arbitrato mondiale fra tutte le nazioni nazioni; e parallelamente, con la visione mazziniana della Giovane Europa, e con quella sua proposta di Religione civile che è, dalle parole stesse del pensatore, “la più splendida dimostrazione possibile della Legge di Progresso ch’è la vita dell’Umanità e porrebbe la prima pietra della inevitabile invocata Religione futura”.

Rivoluzionari, e tutti da rileggere a 150 anni dalla nascita di Zamenhof, sconvolgenti per la modernità e l’attualità dei temi e delle proposte, sarebbero almeno i due testi: Gentoj kaj lingvo internacia [“I popoli e la lingua internazionale”], nato come mémoire per il “Congresso delle Razze” del 26-29 luglio 1911 a Londra, che rimarca come la causa della rivalità e dei conflitti fra gli uomini che da sempre insanguinano il mondo risieda, prima che nella pluralità delle lingue, in quella degli Stati, e cioè nell’assenza di un ordine internazionale degno di questo nome; e ancora l’Alvoko al la diplomatoj [“Appello ai diplomatici”], pubblicato nel 1915 nel pieno del dramma della Grande Guerra, che – fra l’altro – auspica, per non ricadere in una guerra ancor più devastante, da un lato la fondazione degli Stati Uniti di Europa, dall’altro la creazione di un Tribunale Internazionale. Intuizioni che, se ponderate, avrebbero cambiato drasticamente la storia del Secolo breve, e non solo da un punto di vista linguistico.

(da: D. Astori, Quale lingua per l’Europa?, in Which Language for Europe? / Quale lingua per l’Europa? / Kiu Lingvo por Eŭropo?, numero mongrafico di InKoj [Vol. 3, N. 1 – 2012] a cura di D. Astori, pp. 1-8 [atti della Giornata “Quale lingua per l’Europa? Un contributo di riflessione a più voci per una formazione della cittadinanza europea da un punto di vista linguistico”, organizzata presso l’Università degli Studi di Parma da ENS-ASSI Parma il 9 maggio 2011]).

 
Oggi la massima organizzazione esperantista europea è l’Eŭropa Esperanto-Unio (EEU, “Unione Esperantista Europea”), che raggruppa le associazioni esperantiste dei Paesi membri dell’UE e di alcuni Paesi candidati a farne parte. La Commissione Europea ha riconosciuto l’importanza dell’EEU e ha fondato, nel 2009, una Piattaforma per la promozione del plurilinguismo, costituita da 29 organizzazioni transeuropee, fra le quali la stessa EEU, i cui rappresentanti collaborano attivamente alle sue attività, consistenti nel fornire proposte e consigli alla C.E. per realizzare l’obiettivo dell’uguaglianza fra le lingue dell’Unione. Ulteriori notizie e informazioni si possono trovare sul sito http://www.europo.eu, e nelle pagine dedicate all’Unione Europea nel saggio di Humphrey Tonkin, Una lingua e un popolo. Problemi attuali del movimento esperantista, Edizioni Eva, Venafro (IS) 2009.

Sempre in tema di Europa, ricordiamo l’inno esperantista europeo (Himno por la Eŭropa Unio) scritto dall’italiano Umberto Broccatelli, che riportiamo di séguito come si può leggere, insieme a versioni precedenti, su http://lingvo.org/euhimno:


Kantu kune amikaro, ni la ĝojon festas nur,
nek rivero nek montaro plu landlimoj estas nun.
Ho Eŭropo, hejmo nia, tro daŭradis la divid';
nun brilegu belo via, ĉiu estas via id'.
Via flago kunfratigas homojn post milita temp',
via leĝo nun kunigas civitanojn en konsent'.
 
De l' Malnova Kontinento, ĵus ekstaris la popol',
gvidas ĝin tre nova sento kaj kuniga forta vol'.
Sub la ŝildo de la juro, ni vivados en konkord',
tio estas nia ĵuro: unu land' kaj unu sort'.
Jen ekzemplo por la mondo, jen direkto, jen la voj':

tuthomara granda rondo, en la paco, en la ĝoj'.
Cantate insieme, amici, festeggiamo la gioia solamente,
fiumi e montagne non sono più frontiere.
Oh, Europa, nostra casa, troppo durò la divisione.
Splenda ora la tua bellezza, ognuno ti sia figlio.
La tua bandiera affratella gli uomini dopo il tempo della guerra,
la tua legge ora unisce cittadini in consenso.
 
Del Vecchio Continente il popolo ora si è alzato;
lo guida un nuovissimo sentimento e una forte volontà di unione.
Sotto l'egida del diritto noi vivremo in concordia.
Questo è il nostro giuramento: un Paese e una sorte.
Ecco un esempio per il mondo: ecco una direzione, ecco una via:
un grande cerchio di tutta l'umanità, nella pace, nella gioia!


Esiste anche una traduzione esperanto, ad opera di K. Kalocsay, dell’Inno alla Gioia di Friedrich Schiller, che sulle note della nona sinfonia di Beethoven è oggi l’inno dell’Europa unita: il testo completo è riportato su http://eo.wikipedia.org/wiki/Odo_al_%C4%9Cojo.

Siccome con oggi siamo giunti a metà del nostro percorso alla scoperta dell’esperanto, ricordiamo come auspicio che Konkordo malgrandaĵon kreskigas, malkonkordo grandaĵon riunigas [1155]; il che trova un parallelo in quanto Sallustio aveva scritto a proposito degli Stati: Concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur.






 

Federazione Esperantista Italiana

http://www.esperanto.it

Città di Mazara del Vallo

http://www.comune.mazaradelvallo.tp.it

Altro sito

http://