[59] Esperantujo
Formato con il suffisso –ujo
che identifica in esperanto i nomi
delle Nazioni in relazione al popolo che le abita, Esperantujo
è
la “Terra dell’esperanto”, una Patria
ideale della quale gli esperantisti si
riconoscono partecipi e che realizzano materialmente ogni qual volta si
radunano per un convegno o un
incontro, secondo quanto lo stesso Zamenhof aveva dichiarato nel corso
del
Congresso universale di Cambridge del 1907:
Kiel la
antikvaj Hebreoj tri fojojn ĉiujare kunvenadis en Jeruzalemo, por
vigligadi en
si la amon al la ideo monoteisma, tiel ni ĉiujare kunvenas en la
ĉefurbo de
Esperantujo, por vigligi en ni la amon al la ideo Esperantisma. Kaj tio
ĉi
estas la ĉefa esenco kaj la ĉefa celo de niaj kongresoj.
Come gli
antichi ebrei tre volte
all'anno si riunivano
in Gerusalemme per rafforzarsi nell'amore all'idea monoteista, così noi
ogni
anno ci riuniamo nella capitale del paese di Esperanto (Esperantujo),
per rafforzare in noi l'amore all'idea dell'esperantismo.
E questo è l'essenza principale e lo scopo prioritario dei nostri
congressi" (Originala Verkaro de L.L. Zamenhof,
ed. J. Dietterle, Hirt & Sohn, Leipzig
1929: 377).
L’idea
è strettamente connessa a quella degli esperantisti come kvazaŭ-popolo {“quasi-popolo”}, e in particolare
alla loro ben delineata percezione
identitaria dell’appartenenza al Movado.
Anche se la interna ideo
resta spesso qualcosa di nebuloso e indistinto, e più superficialmente
si
dichiara che chi si avvicina all’esperanto lo fa per i motivi più
disparati, è
altrettanto vero che il movimento in sé incarna tratti sociali troppo
marcati
per accogliere chiunque. Ecco i principali e più significativi:
antirazzismo;
sensibilità nei confronti delle minoranze; rispetto di valori quali
democrazia,
tolleranza, condivisione; visione positiva di fenomeni quali
mescolanza,
contraminazione, meticciato, ibridazione, tanto da un punto di fista
sociale
quanto culturale; forte attenzione per il concetto di laicità.
Quella interna
ideo che nella mente di Zamenhof era ben chiara, e che è
comunque promansa al movimento fin dalle origini, segna l’ambiente
esperantista
e lo connota specificamente. Ripercorriamo i tratti di una Nazione, e
prima
ancora di un’etnia, con la definizione, poetica e insieme scientifica,
data da
Alessandro Manzoni in “Marzo 1821”
(“una d’arme, di lingua, d’altare, / di
memorie, di sangue, di cor”). L’esperanto è uno d’arme:
ha una visione politica, in senso aristotelico, che si
rispecchia in valori polarizzabili; di
lingua: l’esperanto, appunto; d’altare:
senza entrare nel merito del contrastato homaranismo, l’ambito religioso, come sistema
valoriare di rilettura
dell’uomo nel rapporto con i suoi simili e con un piano superiore (non
necessariarmente
ultraterreno e oltreumano) è comunque riconducibile a un ambito più
sociale,
per il quale vige quanto detto più sopra; di
memorie: 120 anni di storia del movimento, e la enorme biblioteca
che il
popolo dei libri ha prodotto a monumentum
aere perennius, sono chiara memoria con cui ha a che fare chiunque
si
accosti – per abbracciarlo o già solo per studiarlo – alla esperanta
movado; di sangue:
come unico esempio è sufficiente citare U. Lins, La danĝera lingvo. Studo
pri la persekutoj kontraǔ Esperanto, Bleicher, Gerlingen 1988; di cor: quella sintemo (feeling,
direbbero gli Inglesi)
indistinta e condivisa – di fratellanza ([33] [47])
– che fa sì che un esperantoparolanto
affettivamente valga per un esperantoparolanto
molto più che un angloparolanto a un angloparolanto.
Quanto ai tratti di una Nazione,
oltre alla lingua e alla cultura condivisa, si possono ancora rilevare
la
bandiera, l’inno e, più in generale, simboli e
miti comuni, tutti ben riscontrabili nel movimento (v. almeno D.
Astori,
“Pianificazione linguistica e identità: il caso emblematico
dell’Esperanto”, in
Metabasis. Filosofia e comunicazione, 5, maggio
2008 e
bibliografia ivi fornita). Si richiede poi una sorta di governo, in nuce contenuto – o contenibile – nell’UEA (autonoma, centralizzata,
per certi versi esercitante un potere sovrano). Quanto poi al
territorio, al di
là del fatto che esistono Nazioni che ne sono prive, a dire il vero l’Esperantujo – per quanto virtuale – è,
almeno per gli esperantisti, più che reale. [da: D. Astori, Kies lingvo estas esperanto?, “Atti
della 31-a Esperantologia Konferenco en Roterdamo (‘Esperanto kaj aliaj
lingvoj
– konstrastlingvistikaj kaj socilingvistikaj aspektoj’)”, in stampa].
L'esperanto è stato anche assunto, nel passato e
nel presente, da alcune “micronazioni” (reali e virtuali) come propria
lingua
ufficiale: quelle reali annoverano il “Libero territorio di Moresnet”
(o Amikejo) e
l’ “Isola delle Rose”, quelle
virtuali la “Esperanta
Respubliko”
e la “Respubliko Mania”.
Neniu
estas profeto en sia urbeto
[1716] – Nemo propheta in patria…