[122] Mia penso  

 

Traduttore di molte opere in prosa da varie lingue (polacco, francese, russo, tedesco, inglese, danese, ebraico), con particolare attenzione alle opere teatrali, e di parecchie poesie, Zamenhof scrisse soltanto nove composizioni originali, mentre di una decima l’attribuzione è incerta. Le prime due, apparse già nel primo libretto del 1887, possono ritenersi liriche intimistiche: Zamenhof parla di sé, del suo ideale e dei sacrifici per perseguirlo, nonché del suo timore e della sua emozione nel presentarlo al pubblico. Le altre si rivolgono invece agli esperantisti e sono brani di poesia epica; parlano di “noi” come popolo, un popolo che ha una meta lontana e che è sostenuto dalla speranza di poterla raggiungere, pur incontrando difficoltà, incomprensioni e ostilità. L’impronta è comunque sempre ottimistica, la speranza si fa certezza di lavorare per un mondo migliore.


Pubblicata nel primo libro del 1887, Mia penso {“Il mio pensiero”} era comunque già presente nelle precedenti prove di lingua universale (col titolo di Mia pinto), come si desume dai quaderni che riflettono il lavoro di Zamenhof del 1881 e del 1884. Si può perciò ben a ragione dire che, dopo la quartina citata nella lettera sull’origine dell’esperanto, risalente al 1878, questa è la prima poesia completa nella lingua che Zamenhof andava costruendo. La proponiamo qui nella duplice tradizione di Carlo Minnaja e di Davide Astori.


Sur la kampo for de l' mondo,
antaŭ nokto de somero,
amikino en la rondo
kantas kanton pri l' espero.
Kaj pri vivo detruita
ŝi rakontas kompatante, –
mia vundo refrapita
min doloras resangante.

"Ĉu vi dormas? Ho, sinjoro,
kial tia senmoveco?
Ha, kredeble rememoro
el la kara infaneco?"
Kion diri? Ne ploranta
povis esti parolado
kun fraŭlino ripozanta
post somera promenado!

Mia penso kaj turmento,
kaj doloroj kaj esperoj!
Kiom de mi en silento
al vi iris jam oferoj!
Kion havis mi plej karan –
la junecon – mi ploranta
metis mem sur la altaron
de la devo ordonanta!

Fajron sentas mi interne,
vivi ankaŭ mi deziras, –
io pelas min eterne,
se mi al gajuloj iras...
Se ne plaĉas al la sorto
mia peno kaj laboro –
venu tuj al mi la morto,
en espero – sen doloro!

Fuor dal mondo, in un campetto;
notte estiva che s’avanza;
un’amica nel gruppetto
canta un canto di speranza.
Di una vita rovinata
ci racconta impietosita;
ribattuta e insanguinata
mi fa male la ferita.

“Mio signore, voi dormite?
Perché questa quiete amara?
Il ricordo voi sentite
dell’infanzia che vi è cara?”
Cosa dire? Non piangente
esser può una chiacchierata
con la giovane avvenente
dopo tale passeggiata.

Mie speranze dolorose,
mio pensiero tormentato!
Nel silenzio, quante cose
a voi ho sacrificato!
Tra le cose mie più care,
la mia gioventù, piangendo,
ho deposto sull’altare
del dovere, obbedendo.
 
Sento un fuoco nelle vene,
voglio anch’io la vita mia,
ma qualcosa mi trattiene
dall’unirmi all’allegria.
Se non piacerà alla sorte
il lavoro mio sincero
venga tosto a me la morte,
senza pena, mentre spero.

Sul campo, lontano dal mondo,
prima di una notte estiva,
un'amica del gruppo
canta un canto di speranza.
E di una vita distrutta
racconta pietosa, -
la mia ferita nuovamente colpita
mi fa soffrire riprendendo a sanguinare.

"Dormi? Oh Signore,
perché tale immobilità?
Ah, probabilmente un ricordo
della cara infanzia?"
Che dire? Non di pianto
poteva essere il parlare
con una signorina che riposava
dopo una passeggiata estiva!

Mio pensiero e tormento,
e dolori e speranze!
Nel silenzio da parte mia quante
offerte ormai giunsero a te!
Ciò che avevo di più caro -
la giovinezza - io stesso, piangendo,
l'ho messa sull'altare
del dovere prescrivente!

Sentivo un fuoco dentro,
desidero anche vivere, -
qualcosa mi forza eternamente,
se mi reco da chi è allegro ...
Se non piace al destino
il mio soffrire e faticare -
mi sopraggiunga immediatamente la morte,
nella speranza - senza dolore!



L'immagine è da http://eo.wikipedia.org/wiki/Klara_Zamenhof.


Rol’ de virino – bona mastrino [2172] “Ruolo di donna – buona padrona”.


 

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